“Sostenete o meno le leggi anti-costituzionali e non autorizzate imposte dall'Alto rappresentante internazionale in Bosnia (OHR), soprattutto relativamente ai Tribunali e all'Ufficio della procura in Bosnia Erzegovina?” E' questa la domanda a cui saranno chiamati a rispondere, entro settembre prossimo, gli elettori della Repubika Srpska, entità serba in Bosnia-Erzegovina.
Per il momento si parla di fase “sperimentale”: poche centinaia di metri di rete e filo spinato. Il primo passo però è compiuto e – di fatto – lunedì 13 luglio l'Ungheria ha cominciato a costruire l'annunciata barriera “anti-migranti” sul confine con la Serbia.
L'accordo tra maggioranza ed opposizione è naufragato e “non ci saranno elezioni anticipate il prossimo aprile 2016”. L'annuncio, fatto ieri dal leader dell'opposizione socialdemocratica Zoran Zaev, riapre la profonda crisi politica ed istituzionale che scuote la Macedonia dopo lo scandalo intercettazionie la drammatica operazione di polizia di Kumanovo.
“Serbia e Macedonia sono diventate il canale in cui convogliare l'ondata di rifugiati che in UE nessuno sembra voler accogliere”. Sono parole dure, quelle con cui Gauri van Gulik, vice-direttore di Amnesty International per l'Europa e l'Asia centrale descrive la situazione sempre più preoccupante nei Balcani occidentali.
35.712. Questo è il numero – fornito dal ministro degli Interni Nebojša Stefanović - delle persone che hanno richiesto asilo in Serbia nei primi sei mesi del 2015. Principali paesi di origine la Siria, l'Afghanistan, la Somalia e l'Iraq. Sono invece più di 20mila i migranti e richiedenti asilo fermati alle frontiere e rispediti indietro.
In questi mesi la Macedonia sta diventando sempre più centrale quale terra di transito per i migranti che tentano di raggiungere i paesi ricchi dell'Unione europea attraverso la cosiddetta “rotta balcanica”.
L'obiettivo era quello di definire una “road map” capace di portare la Macedonia alle elezioni anticipate, fissate per l'aprile 2016. Obiettivo mancato.
Col trascinarsi del conflitto in Ucraina e il tracollo del gasdotto “South Stream” (poi sostituito dall'alternativa “Turkish Stream”) molti paesi dell'Europa orientale continuano a cercare strade per rafforzare la propria sicurezza energetica.
Gli anni di crisi economica hanno reso più profondo lo scarto economico tra il sud e il nord della Bulgaria. Citando i dati sullo sviluppo regionale nell'UE, il settimanale Kapital fa il punto della situazione nell'ultimo numero pubblicato.
Bandiere rossonere con l'aquila albanese e cartelli con la scritta “non sono terroristi”. Questi i simboli sventolati ieri a Pristina da alcune centinaia di persone, scese in piazza per protestare contro “l'indifferenza del governo kosovaro” nei confronti degli uccisi e arrestati dopo lo scontro armato del 9 maggio scorso a Kumanovo, nella vicina Macedonia.
Giornalista, vive a Sofia e lavora per Osservatorio Balcani e Caucaso dal 2006. Instancabile viaggiatore, collabora con varie testate italiane e internazionali. Twitta @fmartino_obc